La mia prima esperienza nel mondo delle esche naturali. Escono le nuove Amorphous e Daiwa vuole un video che faccia innamorare gli appassionati di pesca alla bolognese.
Massimo Zelli è il prostaff della bolognese: un ingegnere che progetta canne con assoluta precisione e che pesca da quando ha imparato a camminare. Passiamo qualche ora al telefono per conoscerci a vicenda e capiamo subito che si andrà d’accordo. Siamo entrambi appassionati e parliamo entrambi tantissimo, quindi c’è spazio per lavorare bene.
Decidiamo di impostare il video come una caccia al cavedano gigante, ma con una voce narrante che racconti l’approccio di Massimo alla pesca e alla progettazione delle canne. Puntiamo sull’estetica del fly fishing e cerchiamo di trasportarla nel mondo della bolognese.

La sfida è interessante e ci stimola entrambi. Seguono un tot di telefonate, script e ipotesi di riprese da fare, fintanto che il lockdown ci blocca a casa.
Finalmente si può uscire e si inizia a girare.
Une sessione sul Sile e una sessione sul Mincio dovrebbero bastare.
Il Sile è una grossa risorgiva del Veneto orientale e passa dietro casa di Massimo, quindi lo conosce a menadito. Per me è un mondo nuovo, questo fatto di canne lunghe sette metri, frighi di bigattini, pasture e panchetti, ma lui c’è cresciuto e riesce a farmi capire cosa sia bello per un pescatore di bolognese in poco tempo. Questo è un punto fondamentale quando si gira: capire cosa voglia vedere lo spettatore. L’estetica del fly fishing che mi porto dietro è tutta uno slowmotion di lancio, posa e bollata, mentre qui il cuore palpita quando il galleggiante va sotto e la ferrata è potente.
Fortunatamente ho le lenti giuste e la pazienza necessaria.
Si inizia la giornata con un po’ di guida e un minimo di drone per raggiungere lo spot di pesca, poi c’è la classica sequenza della preparazione della canne, della pastura e delle esche, seguita da un altrettanto classico vergognoso cappotto immortalato dall’inevitabile gardon. Ci si sposta più a monte di qualche chilometro, arrivando in una piazzola più comoda, con una profondità di quattro metri già a un metro dalla riva.
La pasturazione è fatta di un misto di pietruzze, collante e bigattini per qualche oscuro motivo legato alla velocità di affondamento e di separazione delle palle che vengono lanciate. Sono tutte le mille e più variabili di questo folle tipo di pesca mirato a pesci difficili e intelligenti.
La difficoltà nelle riprese sta nel non finire in acqua e nel non distrarsi nell’aspettare la ferrata. Lancio dopo lancio devo seguire il galleggiante mentre s’allontana con lo zoom tutto fuori e regolando a mano la messa a fuoco. In tutta la giornata abbiamo tre mangiate buone, con pesce di taglia sotto a fare da contrappeso alla ferrata energetica, e a quanto pare abbiamo fatto centro.

La questione principale è stata capire come funziona una ferrata: l’azione si sviluppa in senso opposto alla corrente, quindi tenere il galleggiate a 2/3 dell’inquadratura nel senso della corrente non è sufficiente ad avere una ferrata ben centrata.
La seconda sessione di riprese è stata fatta sul Mincio a Peschiera del Garda, un tempio della pesca al cavedano che vede ogni anni appassionati a migliaia percorrere la sponda sinistra con panchetti e canne lunghe 15m.

Un ambiente molto più grande in cui è difficile orientarsi se non si è pratici, ma fortunatamente accompagnavo uno che due cose le sapeva. Qui la difficoltà nelle riprese stava nel dare dinamismo a una pesca che è essenzialmente statica: non ci sono spostamenti e non c’è molto da filmare oltre un lancio di per sé abbastanza breve, senza i falsi lanci del fly fishing. Tanto drone e tanti dettagli fintanto che non abbiamo iniziato a vedere del pesce.









